lunedì 26 novembre 2007

La battaglia di Edwin Moses


Il più grande ostacolista di tutti i tempi a Milano per la sua fondazione benefica: "La crisi del nostro sport è colpa del doping e di chi gestisce il movimento"
Edwin Moses non cambia: ha 52 anni, ma il fisico e il sorriso di un ragazzino. Un ragazzino, sì. Come i tanti coi quali ieri, nella veste di chairman e portavoce internazionale della Laureus Sport for Good Foundation, ha giocato al Saini di Milano. Divertendo e divertendosi.
Perché ha scelto di sfruttare così il suo passato da grandissimo?
"Lo sport non ha valenza se non incide nel sociale. Sono coinvolto con la Fondazione dal 2000. Eravamo presenti in quattro Paesi, ora ci muoviamo in 28".
Per lei è un lavoro?
"A tempo pieno, ma è un lavoro del quale sono orgoglioso. Il mio ufficio è a Londra e nel mio computer".
Come operate?
"Affianchiamo i giovani tra i 6 e 17 anni a superare disagi ed emarginazioni. La nostra presenza in certi Paesi è fondamentale. Di recente sono stato in Cambogia e in Bosnia. Solo lo sport può far rialzare la testa a popoli piegati e abbattere certe barriere".
Lei è qui e in Sud Africa si svolgono i sorteggi i Mondiali di calcio 2010: mai, l’Africa, ha ospitato una rassegna così.
"Appunto... Ai miei tempi in Sud Africa nemmeno si poteva entrare. Lo sport, nella sconfitta dell’apartheid, ha avuto un ruolo determinante".
La politica le impedì anche di partecipare ai Giochi di Mosca 1980 e di vincere quindi un probabile terzo oro a cinque cerchi...
"E’ un grande rimpianto, forse l’unico, insieme a non essere mai sceso sotto i 47"00 nei miei 400 ostacoli".
Lo stesso anno, all’Arena, a due passi da qui, portò il limite a 47"13: ricordi?
"Arrivai da Oslo, andai a dormire, mi alzai un paio d’ore prima della gara e feci un capolavoro: se avessi spinto sin dai primi passi... Solo al settimo ostacolo mi accorsi di quanto forte stavo andando. Troppo tardi".
L’atletica riempiva gli stadi: perché non più?
"Per colpa del doping, che ha allontanato gli appassionati e per l’incapacità di chi gestisce il movimento. Possibile che non ci siano più veri personaggi?".
Da "sindacalista" qual è sempre stato, con due lauree nel cassetto, ha soluzioni da proporre?
"Nel primo caso serve essere molto drastici, andando a colpire chi bara nel portafoglio. Nel secondo, per l’attività di vertice, vanno abolite le federazioni nazionali, per demandare tutto a enti che gestiscano da un lato gli atleti e dall’altro l’organizzazione degli eventi".
Cosa pensa del caso Marion Jones?
"E’ una sciagura, peggio della questione Ben Johnson, perché Marion ha preso tutti in giro per anni. Chi le stava intorno non poteva non sapere".
Darebbe a Ekaterini Thanou le sue medaglie?
"Assolutamente no. Il no show per me vale come una positività. E mi chiedo come è possibile che, a tre anni dall’Olimpiade di Atene, la sua vicenda non sia ancora stata risolta".
Nove anni, nove mesi e nove giorni per 122 vittorie consecutive: cosa rappresentano queste cifre?
"Valgano più per l’opinione pubblica che per me. E più passa il tempo, più vengono ricordate. I 400 ostacoli, sottoscritto a parte, non hanno mai avuto qualcuno in grado di reggere a lungo la scena".
Ha mai allenato?
"Troppo difficile. Mio figlio Julian ha 12 anni. Si diverte con un sacco di discipline, ma ha corso solo una gara di atletica, un 800. Mi ha detto: 'Papà, si fa troppa fatica'. Sono d’accordo con lui".

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