mercoledì 16 gennaio 2008
L'Eldorado della corsa distrutto dalla rivolta
Il dramma di Eldoret, la città cresciuta con i maratoneti. Tergat: «Assurdo, mai saputo di che tribù sia chi mi sta vicino». Sette campi di allenamento chiusi in mezzo a quasi trecento morti sono niente, un numero inconsistente dentro una tragedia, ma è l’anima di Eldoret che sparisce insieme con le piste. Un posto magico come il suono del nome che porta, Eldoret, Eldorado, in realtà un’invenzione per trasforma Eldore (che in Masai significa fiume pietroso) in una parola Nandi, una delle tante tribù kenyane.
Ora che le lotte tra etnie cambiano molto più dei nomi delle città, la culla dei maratoneti si è trasformata, è un posto pericoloso da dove la gente scappa, dove i campioni non possono più uscire di casa per allenarsi, dove gli atleti ospitati dai vari centri di allenamento devono correre alle ambasciate per farsi rimpatriare, dove 35 persone sono state rinchiuse e bruciate in una chiesa, dove Luke Kibet, attuale campione del mondo nella maratona, è stato colpito con una pietra in testa perché aveva il sangue sbagliato. Lui è un Kalenjin, cioè fa parte di una delle tribù che sostengono Raila Odinga, il candidato di opposizione che ha perso le elezioni presidenziali contro Mwai Kibaki, eletto con i voti dei Kikuyus.
Kibet è fermo da una settimana, ma lunedì vuole tornare fuori, nelle strade dove è stato aggredito. Non ha intenzione di fuggire, «guardo le persone che impacchettano case intere, ma appena mi riprendo, io riparto da qui. La situazione cambia di continuo, sono caduto in un agguato e mi hanno ferito, ma le bande si spostano. Noi aspettiamo informazioni più precise ». Lornah Kiplagat che a Iten, 30 km da Eldoret, ha aperto un centro di allenamento insieme col marito e manager Pieter Langerhorst, si sta preparando per la maratona di Dubai, il 18 gennaio. Esce alle 5 e mezza del mattino, fa soltanto una parte del percorso che dovrebbe completare ogni giorno e rientra all’alba per allenarsi al coperto, «troppo pericoloso andare oltre. Però non ho interrotto la preparazione ».
Ha ospitato 15 atleti europei fino a mercoledì, quando sono stati tutti riportati in Europa grazie un volo organizzato dall’ambasciata olandese di Nairobi. Il centro di Iten ha riaperto ieri, è bastato un giorno di relativa calma per far finta di niente, riprendere orari e abitudini come se fosse sicuro. «Guardiamo il telegiornale, non ci si muove da soli, rispettiamo delle regole, ma non vogliamo farci portare via la nostra vita». Detto da Lornah Kiplagat che ha nazionalità olandese e se ne potrebbe andare quando vuole, in più sta per partire per il Dubai e poteva trasferirsi pure prima. Ma gli atleti di Eldoret stanno aggrappati all’oasi che non c’è più. Sanno che dipende da loro, che se si spostano e usano soldi e doppi passaporti per trasferirsi, non resterà nulla del paradiso della corsa.
Paul Tergat, record di maratona dal 2003 al 2007 e ambasciatore sportivo dell’intero Kenya ha scritto una lettere per motivare tutti i campioni che si stanno preparando alle Olimpiadi e hanno perso ogni coordinata: «Tutto questo è assurdo, io non ho mai saputo di che tribù sia chi mi corre vicino e non mi interessa. Gli esperti dicono che con questo disastro siamo tornati indietro di 10 anni. I kenyani soffrono, sono morte centinaia di persone, chiediamo la pace. E la normalità, per tornare ad allenarci e rappresentare il nostro Paese a Pechino». Tra le vittime dei massacri Lucas Sang, membro della staffetta 4X400 portata del Kenya a Seul 1988. Aveva 45 anni, lo ha identificato un’altro campione olimpico, Noah Ngeny, oro nei 1500 metri a Sydney 2000.
Sang è stato picchiato e ucciso dallo stesso gruppo che ha assalito Kibet, dopo i funerali a Kuinet, molti ragazzi hanno saltato gli allenamenti per 24 ore in segno di rispetto e per lo stesso motivo li hanno ripresi. Youcef Abdi, passaporto australiano e gambe pronte a qualificarsi per le Olimpiadi nei 3 mila siepi, accetta un’amichevole scorta per arrivare allo stadio Kipchoge Keino: «Nei giorni più difficili ho provato a corrompere un taxista che non mi ci voleva portare. Ho fatto i 7 chilometri a piedi, allo scoperto, da solo. Un’imprudenza, ma ci dovevo arrivare». Nessuno vuole mollare, neanche Gabriele Rosa, tecnico italiano che ha allevato tanti campioni kenyani ed è stato costretto a rientrare a Brescia: «Sarò di nuovo a Eldoret appena possibile e organizzerò una corsa della pace, il Kenya mi ha dato tanto e voglio provare a restituire qualcosa».
Vivian Cheruiyot, medaglia d’argento nei 5000 metri ai Mondiali di Osaka non riesce ad avere tanta fiducia, «posso solo dire che la mia famiglia è salva e sta bene. Con quello che vedo dalla mia finestra mi sembra già il massimo, non so parlare di programmazione e di quando e se riprenderò i ritmi che servono per qualificarsi ai Giochi». David Okeyo, presidente della federatletica kenyana e capo delegazione a Pechino, ha annullato qualsiasi gara di cross fosse in programma nel Paese: «I nostri atleti sono sempre stati l’orgoglio di questo posto. Abbiamo saltato le Olimpiadi del 1980 per ragioni politiche, non vorrei che fossimo costretti a disertare queste perché non possiamo prepararci. C’è ancora tempo, ma serve la pace. Lo sport ha sempre unito, spero lo faccia anche ora».
Lo sport ha fatto persino più di questo per Eldoret, l’ha coperta d’oro. Investitori stranieri, reddito pro capite sempre in aumento, dieci nuove banche negli ultimi quattro anni, un ottimo aeroporto, flusso continuo di corridori e turisti, una ricchezza che non tornerà tanto in fretta. Gli uomini d’affari sono scomparsi per primi e la zona considerata in grande sviluppo è stata ribattezzata instabile e non darà garanzie nei mesi a venire. Eldoret, svuotata, con la chiesa in fiamme e le proprietà agricole rase al suolo, resta aggrappate alle sue piste, a quei sette centri di allenamento che funzionano a intermittenza e resistono immacolati nelle guide di viaggio «il posto migliore per allenarsi ad alta quota». Ora è diventato il posto più pericoloso, ma lì c’è gente disposta a rischiare la vita pur di salvare la vecchia definizione.
14/01/08 Giulia Zonca
Fonte lastampa.it
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