lunedì 21 luglio 2008

Assedio olimpico a Pechino


A mezzogiorno nello spiazzo che annuncia “hengjiezi cun”, il villaggio con la strada sbilenca, alla periferia di Pechino, sono parcheggiati ordinatamente almeno cento taxi lucidi e puliti dentro e fuori come fossero appena usciti dal concessionario.

Intanto lunedì a Kunming nella provincia dello Yunnan dei contadini hanno fatto saltare due autobus, uccidendo almeno tre persone e ferendone almeno 14. Non sono chiari i moventi e l'identità degli attentatori al momento.

Gli autisti sono riuniti per prepararsi alle prossime settimane fatali. Da domenica 20 comincia il regime delle targhe alterne e milioni di turisti cinesi e non piomberanno nella capitale per i giochi.

Loro faranno più affari, con più clienti, ma soprattutto saranno i primi ambasciatori, il primo volto della città davanti al Paese e al mondo.


“È una grande responsabilità” dice teso, compreso nel suo nuovo ruolo Wang Xiaosun, tassista da dieci anni, tirando un sospiro di sollievo perché non deve sforzarsi di smozzicare il poco inglese che è riuscito a digerire.


“Dobbiamo far fare una bella figura alla città,” racconta convinto, prima di cedere al tipico sarcasmo locale: “eh certo che ‘ste olimpiadi sono ‘na stancata. Voi pure fate così per le Olimpiadi? Per noi è la prima volta abbiamo paura di sbagliare. Eh! La prossima volta sarà più facile.”


Sarà anche uno stato d'assedio necessario, sopportato olimpicamente da tutta la popolazione, ma stato d'assedio è.


Domenica, primo giorno di regime di targhe alterne e di inizio ufficiale della stagione dei giochi di Pechino, le auto erano quasi sparite dalle strade, tornate per una volta percorribili senza il solito traffico infernale.


In compenso, negozi, incroci, sottopassi, grandi magazzini, uscite degli uffici erano popolati da un arcobaleno di divise.


C'erano quelle solite di blue e nere della polizia, quelle verde oliva della poliza armata (i carabinieri cinesi), quelle grigie delle guardie giurate autorizzate, quelli “in borghese”, in giacca e cravatta con aria circospetta e il microfono attaccato all’orecchio, e in più c'erano anche un esercito di ragazzini e ragazzine semplicemente con la fascia rossa al braccio.


Sono sorridenti, gentili, annuiscono, sono in gran parte disarmati, ma sono onnipresenti.


Hanno costruito guardiole in panelli prefabbricati sulle strade secondarie. Su quelle principali c’è l’osservazione diretta dei guardiani delle olimpiadi e quella delle telecamere schierate ad ogni angolo.


La sera, intorno alle nove, l’orario di dopo cena qui, già da qualche settimana agenti sorridenti ma inesorabili fanno controlli a campione.


Fermano le auto, fanno abbassare il finestrino e chiedono di sofficare in una specie di pistola conta-alcol. Chi ha bevuto troppo perde la patente, la macchina gli viene sequestrata e può passare anche una notte in gattabuia.


Sembra uno stato di polizia, o almeno di paranoia, ma la gente per strada sbuffa un po’ ma corre a comprare per 5 o 10 yuan le bandierine della Cina e delle olimpiadi danzanti. Le infilano in cima al tettuccio della macchina e corrono, targa permettendo, per la città come fosse una festa.


Quasi sono in vacanza, tutti sono incoraggiati a non andare al lavoro in questo mese. L’80 per cento delle auto blu degli uffici governativi è consegnato in garage. Le auto con targhe forestiere non possono entrare a Pechino. I visti per gli stranieri, si sa da mesi, sono una rarità.


Il messaggio è semplice: state a casa, o lontano, per limitare i bersagli di possibili attentati, o anche limitare la confusione in caso di disordini.


In ogni caso 100mila agenti sono pronti. Hanno corazze e scafandri che sembrano buone per viaggi nello spazio, fanno acrobazie armati o a mani nudi a piedi, su auto o su dei bipattini elettrici importati direttamente dall’America.


Ma almeno loro, per ora, non sono scesi in campo e si vedono solo in televisione, su internet o sui giornali.

lastampa.it

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