mercoledì 3 settembre 2008

Gigliotti: «Da Modena a Pechino, ecco la nostra Olimpiade»

Se i cinesi volevano impressionarci, beh ci sono riusciti. L’Italia ne esce un po’ con le ossa rotte: lo stellone non basta
 
Luciano Gigliotti, “mago” dell’atletica, da Modena a Pechino via Atene, all’inseguimento di un altro oro nella maratona allenando il “nostro” campione di Olimpia 2004 Stefano Baldini. Un’avventura finita stavolta senza vittoria, con il 12º posto, ma riportando a casa l’oro del coraggio per come Baldini ha inseguito il sogno fino in fondo, fino all’ultimo metro di quei 42 chilometri, portando al traguardo il campione ma soprattutto l’uomo, l’uomo che non si arrende.
Le Olimpiadi di Pechino si sono appena concluse domenica scorsa, lei le ha vissute con Baldini e non siete saliti sul podio ma avete vinto, insieme, una sfida che forse va al di là del significato sportivo: la sfida dell’orgoglio, del provarci comunque. Che gusto le lascia questa Olimpiade, c’è un po’ di amaro in fondo oppure no?
«No, noi abbiamo dato il massimo, Stefano è stato grandissimo, ma questo è lo sport. Si perde, anche. Capita. L’importante è farlo sempre onestamente e con onore. E noi lo abbiamo fatto. Di questa Olimpiade non ci resterà il gusto amaro ma il senso di stupore e anche di ammirazione per come sono state organizzate. La Cina ha dimostrato di avere grandissime capacità e una strapotenza di mezzi. Sono stati i Giochi meglio organizzati che abbia mai visto, dal 1976 in poi. E anche al Villaggio Olimpico quello che saltava agli occhi era l’efficienza: era grandissimo, bellissimo, ordinatissimo, pulitissimo. Tutto ha funzionato, non ci sono mai stati intoppi, neanche una coincidenza del bus saltata. E’ stata l’esaltazione dell’organizzazione come la intendono i cinesi, cioè un meccanismo perfetto».
Ma davvero questa macchina perfetta non si è mai inceppata?
«L’unico neo era che tutti parlano solo cinese. Farsi intendere era complicatissimo, nessuno o quasi parlava anche solo l’inglese. E con i taxisti c’erano grossi problemi, bisognava andare in giro con un cartello con scritto in cinese il posto dove si voleva andare altrimenti eri fregato, completamente perso a Pechino. Poi, certo, c’erano i volontari, a migliaia, e molti di loro parlavano inglese e allora potevano aiutarci un poco. Ecco, se proprio devo dirlo, un’altra cosa che non ha funzionato molto era la cucina. La grande mensa del Villaggio olimpico non era granchè, almeno per noi italiani: un enorme ristorante aperto 24 ore su 24, sempre affollatissimo, ma non si mangiava molto bene. Per fortuna che noi avevamo i nostri cuochi venuti con noi dall’Italia...».
I cinesi hanno voluto dare una prova di strapotenza al mondo, questa è stata la sensazione dall’esterno...
«Anche dall’interno, glielo assicuro. Se volevano impressionarci, beh, ci sono riusciti benissimo. Ad esempio, lei sa che c’era il problema di questo terribile smog su Pechino di cui tanto si è parlato. Anche noi lo temevamo ed eravamo andati lì già ad aprile per studiare la situazione. Beh, durante le Olimpiadi non dico sia sparito ma è tornato ampiamente sotto controllo. I cinesi sono stati efficienti come al solito. Per i Giochi hanno chiuso tutti i cantieri, tutte le fabbriche, hanno imposto in città le targhe alterne. Il cielo sopra Pechino in alcune giornate era azzurro. Addirittura abbiamo avuto l’impressione che quando loro lo hanno deciso hanno fatto piovere, lanciando forse qualche razzo nelle nuvole. Prima delle due maratone, donne e uomini, faceva caldissimo, temevamo la disidradatazione degli atleti. Ma appena prima della gara, la sera prima, ha iniziato a piovere e l’aria si è rinfrescata e ripulita. Tutti al Villagio parlavano di questa cosa: quando hanno voluto, hanno fatto piovere.»
Ma fuori dai Giochi, però, lontano dal Villaggio Olimpico e dalle gare, si agitava un’altra Cina...
«E’ vero, ma noi l’abbiamo solo intravista. Alle Olimpiadi, alle gare, si sentiva l’espressione della potenza della Cina: tutto “doveva” essere perfetto. Certo, poi abbiamo visto quello che loro hanno voluto che vedessimo, questo ci era ben chiaro, solo tutto quello che esaltava la modernità: costruzioni bellissime, poco smog, poco traffico. Poi c’era un altro volto che si percepiva e le poche volte che ci siamo allontanati dal Villaggio Olimpico ce la trovavamo davanti, la vera Cina. E lì c’era un’umanità diversa come tenore di vita e benessere rispetto a quella che trovavamo nelle aree olimpiche. Erano le due facce della Cina, ma si sapeva fin dall’inizio che sarebbe stato così: una esibita con orgoglio quasi insolente e l’altra nascosta».
Tirando le somme, a mente fredda una settimana dopo, che Olimpiadi sono state?
«Belle, valide sportivamente, con grandi campioni. Eccezionale Bolt. Anche se, nel fare bilanci, bisogna dire chiaro che le medaglie non hanno tutte lo stesso valore, non si può paragonare, ad esempio, un tiro a segno con una medaglia nell’atletica o nel nuoto. Attenzione, l’atletica resta la regina delle Olimpiadi, indica il vero valore del movimento sportivo di un Paese perchè l’atletica la possono fare tutti e in tutto il mondo, non servono mezzi, ma solo gambe per correre e saltare o braccia per lanciare. L’atletica è davvero universale».
Ma i cinesi sono stati favoriti o no a queste Olimpiadi?
«Beh, certo, in sport dove non ci sono tempi o misure e contano i giudizi, come nella ginnastica o nei tuffi qualcosa può sempre capitare. Ma molto sinceramente non mi pare che in questa Olimpiade ci siano stati più casi controversi o scandalosi rispetto alle precedenti edizioni. C’è un tasso fisiologico di queste medaglie chiamiamole “contestate” e Pechino non è stata sopra la media».
E l’Italia come esce da queste Olimpiadi?
«Con le ossa rotte. Mi è piaciuto quello che ha scritto Cannavò sulla Gazzetta dello Sport: “Signori, guardate che quello che ci dice l’Olimpiade è che in Italia gli sport di base, formativi sono in affanno”. Su tutti l’atletica. Ha ragione. Sono spariti i giochi studenteschi, i giochi della gioventù, i governi hanno scarsa attenzione per lo sport di base, eppure è da lì che poi nascono i campioni. Noi siamo arrivati noni nel medagliere olimpico, ma certo non siamo la nona nazione al mondo come cultura sportiva. Siamo molto più arretrati. Poi, certo, c’è sempre lo stellone o il talento eccezionale che ci salva, o qualche struttura sportiva che si impegna a fondo e riesce a costruire uno-due atleti di grande livello. Sì, a Modena c’è la Fratellanza che fa molto, è struttura di punta. Ma non può bastare. La cultura sportiva nasce dalla scuola ed è lì che bisogna intervenire».
Però campioni come Baldini sono nati nonostante tutte queste difficoltà...
«Eh certo, il talento e il lavoro poi pagano sempre. Ma Baldini è unico, è un campione eccezionale come ce ne sono pochi...»
Ecco, parliamo di come il campione debba anche avere il coraggio della sconfitta, come ha dimostrato Stefano...
«Sì, mi è piaciuto molto come i giornali hanno trattato la vicenda Baldini. Temevo lo abbandonassero, lo criticassero. Invece tutti hanno capito la grandezza di questo campione, medaglia d’oro ad Atene e che ha voluto a tutti i costi onorare la sua vittoria olimpica a Pechino nonostante le sue condizioni fisiche non fossero buone e fosse ben cosciente che difficilmente sarebbe riuscito a ripetersi. Ad Atene si è applaudito il grande campione, qui invece si è applaudito l’uomo».
Baldini campione e uomo di sport. Ma ci sono anche altri che non sono nè l’uno nè l’altro, quelli che barano con il doping. A Pechino non le sono mai venuti brutti pensieri vedendo diversi atleti?
«I brutti pensieri sono sempre gli stessi e vengono prima dell’Olimpiade, quando si vedono certe prestazioni, certi “misteri”. Poi, all’Olimpiade, ormai si sa già. Però ho l’impressione che stavolta qualcosa si stia facendo davvero nella lotta al doping, che tutto funzioni un po’ meglio nel campo dei controlli. E dovrà funzionare sempre meglio. Io sono duro su questo concetto. Chi si dopa bara, ruba, è un ladro o un rapinatore, non ci sono mezze misure, va accomunato a queste figure delinquenziali. Tu dopandoti rubi a me l’alloro, la vittoria e, in questo mondo ormai di sport e business, se vogliamo essere materialisti, rubi anche il denaro dei premi, degli sponsor. Che differenza c’è dunque con chi ruba nella vita normale? Nessuna. Per questo io credo che chi è sorpreso a doparsi non debba essere semplicemente squalificato per tre mesi, per un anno, e poi torna alle gare. No, è assurdo, anche perchè dal doping è difficilissimo uscire, diventi doping-dipendente».
E quindi come deve difendersi lo sport dal doping?
«Io penso che chi viene sorpreso a doparsi debba essere radiato, squalificato a vita. Gli si dice: hai barato, hai rubato? Via, questo non è più il tuo mondo, vai da un’altra parte, è finita. Lo sport deve essere pulito, non è un’utopia, è la sua ragione d’essere. Chi lo tradisce deve pagare». repubblica.it

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