venerdì 25 luglio 2008

I dopati della domenica. Il popolo degli sportivi truccati


C'è chi rischia la vita per vincere la corsetta ciclistica amatoriale alla sagra del prosciutto, siringandosi da sè. C'è chi riduce i propri testicoli a noccioline rinsecchite pur di gonfiarsi i bicipiti di un altro paio di centimetri. C'è chi va incontro al cancro, alla leucemia, alla trombosi, all'impotenza pur di arrivare al traguardo della maratona di paese prima dell'amico rivale. Sono i pazzoidi del doping della domenica, in Italia almeno mezzo milione di sportivi truccati e senza controllo, vittime del mito della vittoria anche quando la vittoria non vale niente, solo l'orgoglio di arrivare davanti, o di specchiarsi e vedere muscoli lucidi e turgidi da culturista. Sono i "dopati fai da te", cioè il vero motore di un'industria parallela a quella della droga, nelle mani della criminalità organizzata, che fattura due miliardi di euro all'anno e che nel 2007 ha visto commerciare Epo per oltre 200 milioni.

Perché quelli come Riccò sono soltanto la punta dell'iceberg. Sotto il fenomeno si rivela per quello che è: un commercio mondiale che coinvolge medici, farmacisti, allenatori e naturalmente atleti. Tutti complici per poter prescrivere, comprare, vendere e consumare anabolizzanti, Epo, ormoni della crescita, insulina, integratori, stimolanti, corticosteroidi e farmaci di varia natura che nascono per i malati, ma sono più richiesti dai sani: per andare più forte, per scolpirsi il corpo, per non sentire la fatica. Alla lunga ci si ammala e si muore, ma il dopato della domenica non si cura mai del lunedì.

"Anch'io vado in palestra tutti i giorni, e vedo questi uomini davanti allo specchio, in estatica ammirazione dei propri muscoli". Raffaele Guariniello, procuratore capo vicario a Torino, protagonista di alcuni tra i più importanti processi per doping (Pantani, Juventus) e sportivo a ore perse.
"Ho chiesto al mio istruttore un corpo come quei tizi, e lui mi ha risposto che i pesi non bastano, semmai ci vogliono le pasticche". In Italia, già trentacinque sentenze per casi di doping sono arrivate in Cassazione da quando il reato è penale.

"Il mercato degli anabolizzanti e degli integratori è in continua crescita, e la colpa è il modello distorto di successo. Negli integratori, in particolare, esistono sostanze farmacologimente attive non indicate in etichetta perché la legge non lo prevede. Nel corso di una nostra inchiesta trovammo un aminoacido contenente nandrolone, un anabolizzante. Chiunque, e penso soprattutto ai ragazzi, può comprare questa roba e doparsi".

La vetrina di un negozio per culturisti e palestrati in via Mazzini, pieno centro di Torino. Vasi giganti di creatina a 39 euro, slogan psichedelici e promesse assolute ("Vai oltre i tuoi limiti!"), fotografie di uomini e donne forse gonfiati col compressore, interi scaffali di pillole e pomate. "Vitamin store": ma saranno solo vitamine? Cosa c'è dentro quegli intrugli? "Comprare doping è la cosa più facile del mondo" spiega il professor Mauro Salizzoni, illustre chirurgo del fegato e già responsabile antidoping della Federciclismo. "Se si vuole l'Epo, basta pagare: in Italia, oppure a Lugano. Il problema è legale e sociale al tempo stesso: una cultura malata propone modelli assurdi che gli sportivi senza cervello seguono meccanicamente. Non sapendo, forse, che l'ormone della crescita fa scoppiare cuore e fegato e che l'Epo porta alla trombosi. Almeno venticinque atleti, in Italia, sono già morti così".

Un guasto culturale: per sentirci qualcuno abbiamo bisogno di forza, potenza, affermazione e falsa bellezza. E il Tour de France è solo una briciola nel gigantesco banchetto del doping. Un'inchiesta sviluppatasi a Luino e iniziata a febbraio, ha portato alla denuncia di sedici persone tra cui un medico che intestava false prescrizioni di Epo, morfina, testosterone e anabolizzanti a malati terminali, anziani e persino defunti; nel corso della stessa indagine si è scoperta l'assunzione di 650 compresse e 74 dosi di farmaci ad uso veterinario: medicine per cani e bovini, assunte come doping della domenica. E lo spacciatore era il magazziniere di una farmacia dell'Alto Varesotto che si riforniva in Svizzera. Oppure, è storia della settimana scorsa, 80 indagati a Padova nel mondo dello sport amatoriale, di nuovo con farmacisti e medici nel ruolo di complici.

È anche un problema di abuso di farmaci, come sentenziò la Cassazione nei confronti del medico della Juventus, Riccardo Agricola. "Le procure sono molto attive, e quello che si riesce a scoprire dimostra la diffusione e la ramificazione del fenomeno" dice Guariniello. Un caso clamoroso avvenne a Como, dove una dottoressa dell'Asl che era nello stesso tempo cliente di una palestra, prescriveva al suo istruttore un farmaco chiamato Dynabolon, ovvero un anabolizzante. Sentenza arrivata in Cassazione: sette mesi di reclusione al medico che tentò di difendersi goffamente ("Il mio paziente aveva bisogno di quella medicina, non si tratta di doping").

Secondo gli inquirenti, Nas e Guardia di Finanza, la mafia e la camorra gestiscono un mercato in crescita di circa il trenta per cento all'anno, con numeri da grande industria. Del resto in Italia vi sono oltre dodici milioni di sportivi praticanti, e più di tre milioni di tesserati. Le più recenti statistiche indicano che almeno 250 mila atleti agonisti ricorrono alla chimica per alterare le proprie prestazioni, e che almeno una palestra su dieci si rivela luogo di spaccio, commercio e consumo di doping.

"Perché tra i cosiddetti amatori non esiste alcun controllo" spiega il professor Dario D'Ottavio, responsabile del coordinamento antidoping per il Consiglio nazionale dei chimici, nonché perito in numerosi processi. "Nessuno immagina quanto sia diffuso questo fenomeno. E se esistono atleti professionisti che vanno in giro con il beauty del doping, diviso in scomparti e pronto per dosare ogni giorno i diversi farmaci, ci sono molti più atleti della domenica che ingoiano qualunque cosa e si fanno le iniezioni e le flebo da soli, oppure si infilano supposte di caffeina alla partenza delle gare. A volte si tratta di ex professionisti già condannati per doping: passato il tempo della notorietà, non hanno perso il vizio. E il sistema, anziché espellerli li accoglie a braccia aperte".

Il professor D'Ottavio ricorda un'inchiesta che partì dalla morte di un culturista, a Modena: "Una storia tristissima. L'autopsia evidenziò che questo poveretto aveva i testicoli come nocciole, perché se si assumono ormoni maschili in dosi cento volte superiori i livelli fisiologici, è chiaro che l'organismo non li produce più". Effetti collaterali? "Si diventa impotenti. Sequestrammo siringhe che contenevano prostaglandina, una sostanza urticante che veniva iniettata direttamente nel pene e procurava un'infiammazione, ovvero un'erezione artificiale. Qualcosa di mostruoso". Il professore va anche a far lezione di doping e antidoping nelle scuole: "Faccio vedere ai ragazzi una fotografia di Livio Berruti, una di Ben Johnson e una terza di un culturista, per spiegare com'è cambiato il corpo degli atleti e perché. Le immagini servono più di mille parole".

I siringati della domenica ignorano, infine, quanto sia sottile il confine tra doping e tossicodipendenza. Tra i primi a denunciarlo fu "Libera", l'associazione di don Ciotti: del resto, per convincersi basterebbe considerare il percorso di alcuni famosi campioni dal doping alla droga, e talvolta alla morte. "Perché questa roba ammazza due volte" conclude il professor D'Ottavio. "Il corpo, ma soprattutto la mente". Ed è proprio da lì, dal cervello, che parte l'abnorme impulso ad essere più forti, più belli, più veloci, più gonfi, più scolpiti. Povere statue in attesa di sgretolarsi.
repubblica.it

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