E l'Olimpiade parte da lì, da quel senso di vuoto che ti pervade quando tutto sembra finito, quando la mente è arida di emozioni e il cuore di continua a battere anche se vorresti che non lo facesse più. É un muscolo involontario, il cuore. Ma suona la stessa musica per tutti. Sa regalarti emozioni inaspettate, sa sorprenderti, abbatterti, affaticarti, ma ti fa sentire vivo.
Lo smarrimento dura un minuto, un istante, talvolta interminabile, insostenibile. Ma la forza per rispondere alla convocazione, prima o poi arriva. Salta fuori, si fa largo tra gli sguardi indifferenti delle persone che, nella migliore delle ipotesi, ti compatiscono. O peggio ancora, provano pena. E allora, quelle emozioni che, per poco o lungo tempo, sono state sopite, esplodono tutte insieme, quasi fossero l'eruzione di un vulcano. E così ci si rimette in gioco, si torna a sfidare la vita perché la vita ti ha sfidato. E tu non vuoi perdere.
Gli allenamenti, quelli, li inizi da subito. Percorsi di guerra tra macchine parcheggiate sugli scivoli, marciapiedi ostruiti da ciclomotori, ostacoli insormontabili, ascensori inaccessibili: benvenuti nel terzo millennio.
Ma c'è anche l'allenamento sportivo ti riscalda il cuore e che riaccende i sogni e la speranza. E allora inizi a dare fondo a qualsiasi energia e decidi di cambiare vita, perché la vita - in fondo - ha provato a cambiarti. Per le Paralimpiadi di Pechino c'è anche chi ha cambiato sport. É il caso del lombardo Daniele Stefanoni, passato dallo sci di fondo (ha partecipato alle Paralimpiadi di Torino del 2006 - al canottaggio. Allenamenti su allenamenti e soprattutto la necessità di imparare a remare.
La delegazione italiana per Pechino è composta da 84 atleti, 2 riserve e sei atleti guida. Il presidente del Cip, Luca Pancalli alla vigilia aveva pronosticato 15 medaglie: al momento ne sono arrivate sedici. Un successo. Le ultime due nella giornata di ieri: la squadra di tiro con l'arco ha vinto la medaglia di bronzo: Oscar De Pellegrin, Mario Esposito e Marco Vitale hanno sconfitto il Giappone nella sfida valida per il terzo posto, dopo aver perso con la Cina in semifinale. L'argento, invece, è arrivato da Michela Brunelli e Clara Podda nel tennistavolo classe 1-3. Le azzurre si sono arrese, in finale, di fronte alle padrone di casa della Cina. Il sudafricano Oscar Pistorius, oro nei cento e duecento metri piani, fa storia a se.
Ha diviso l'opinione pubblica, ha acceso dibattiti e presentato ricorsi. Ma ha attirato su di se tutte le attenzioni della Paralimpiade, lasciando a tutti gli altri atleti briciole mediatiche. La Nike lo ha scelto come modello mentre i sociologi di tutto il mondo continuano a darsi battaglia per affermare o meno l'opportunità di concedere al sudafricano il permesso di partecipare alle prossime Olimpiadi di Londra 2012.
Tutti gli altri vivono un'altra sfida. Il loro doping si chiama sport, vissuto a pieni polmoni, che ti fa rinascere e gioire, che ti fa sognare e combattere, che fa fa emozionare. Si fa sport, e non si fa per soldi. Non ci sono sponsor, tv, gettoni di presenza. Non ci sono prime pagine o interviste in esclusiva. Niente vittorie a tutti i costi e nessun contratto da testimonial. Non ci sono fan pronti a chiedere l'autografo, ne aziende che si contendono la tua immagine a suon di milioni. Niente alberghi a cinque stelle, nessun volo in prima classe. La sfida è quotidiana, continua, costante. E il metallo della medaglia che insegui, non è poi così importante. Perché non importa ciò che provi alla fine della gara, ma quello che senti mentre stai gareggiando.
iltempo.it
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